Un post sui social dopo una lunga notte di lavoro nella Terapia Intensiva Neonatale che, in poche ore, fa il giro del web tra amici e conoscenti, nel giorno in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella premia 56 eroi del Covid: medici, infermieri e ricercatori in prima linea.
Lo smonto da un turno di notte, una foto con due occhi che parlano da soli è una frase “Essere infermiere ai tempi del Covid significa riempirsi di un sentimento che va ben oltre la propria professione. Un infermiere ai tempi del Covid- 19 diventa consapevole, che dopo tutto questo isolarsi dalla famiglia, dagli affetti, il suo resta il lavoro più bello che mai avrebbe potuto fare nella vita”.
È questa la storia di Marzia Longobardi, infermiera precaria, in Terapia Intensiva Neonatale. “Durante la prima fase di questa pandemia – racconta Marzia- tutti noi siamo stati etichettati come eroi, ma i ringraziamenti son durati poco. Attualmente siamo caduti nuovamente nel dimenticatoio; le istituzioni non si preoccupano dei turni non stop a cui siamo costretti a sottoporci ogni giorno pur di non far collassare il complesso meccanismo assistenziale che richiede questa pandemia, ma siamo stanchi e ci sentiamo poco valorizzati.
L’ospedale è la mia seconda casa. A volte è la prima. Passo più tempo qui che in casa , dove ad ogni stacco turno mi aspettano i miei amati gatti. Non posso negare che ogni volta che varco la soglia del portone d’ingresso spero che vada tutto bene. È inutile negarlo siamo in trincea e la paura di restare contagiati c’è. Ma la paura non può vincere e allora si indossa il coraggio e si va dritti. In quelle incubatrici ci sono piccoli eroi che pesano grammi e che hanno bisogno di noi. E fuori ci sono mamme e papà con i loro occhi lucidi che hanno bisogno di rassicurazioni, di crederci .
Siamo tutti dei combattenti : personale e piccoli pazienti. La paura è ripagata da smorfie che sembrano sorrisi e da manine che si stringono alle tue dita.
Quella di Marzia è la storia di Giovanna, di Mario, di Luigi, dei tanti operatori sanitari che rendono la vita migliore ma che sono chiamati a fare i conti con la precarietà dei tempi. “ Da studentessa della Federico II – racconta Marzia – ho messo piede in ospedale più di 12 anni fa.Attualmente lavoro da 8 anni presso questa struttura prima tramite le agenzie interinali poi con un contratto a tempo determinato,
Come vincitrice di un avviso pubblico.
Dal 2008 ad oggi ho mosso i primi passi da infermiera pediatrica proprio qui All’ AOU Federico II ,ho imparato tanto e ancora ho tanto da imparare La nostra è una professione delicata e in constante crescita.
La precarietà lavorativa è un male con cui la mia generazione e non solo, è chiamata a fare i conti in ogni settore,sopratutto in quello sanitario , dove ci sono stati anni di tagli indiscriminati che hanno fatto pagare le pene a noi operatori sanitari e ai nostri pazienti..
La paura dei tagli al personale,di restare senza un lavoro è sempre forte; la paura di lasciare un reparto che è la mia seconda casa si fa sempre più viva quando si avvicina la scadenza del contratto ma nonostante tutto, nonostante le grosse difficoltà assistenziali ed organizzative il nostro primario, il professor Francesco Raimondi, che ha sempre portato avanti la nostra battaglia per la stabilizzazione, ci ha insegnato ad andare avanti a testa alta e a non demordere.
E allora alla fine dei conti penso che se si ha cuore la sanità e se la salute è un diritto come il lavoro davvero bisogna fare di più.
Le chiacchiere stanno a zero, c’è bisogno di più fatti e di concretizzare quanto è stato emesso dal governo in materia di stabilizzazioni. Il Covid si può fermare se facciamo tutti attenzione . Di Covid si muore , non è uno scherzo, le mascherine,
il distanziamento e il corretto lavaggio delle mani per ora sono le nostre sole armi mentre altri medici, altri ricercatori, forse anche loro precari, studiano per il vaccino”.