Incandidabilità e scioglimento, le motivazioni della sentenza che smonta la tesi del Viminale

Incandidabilità e scioglimento, le motivazioni della sentenza che smonta la tesi del Viminale

Un altro ricorso accolto mette in discussione lo scioglimento del consiglio comunale di Castellammare per infiltrazioni mafiose. Cancellata l’incandidabilità per Emanuele D’Apice e Fulvio Calì, un colpo di mano che rischia di far crollare la tesi del ministero dell’Interno. A smontarle sono i giudici della Corte d’Appello di Napoli, collegio presieduto dalla dottoressa Caterina Molfino.
Emanuele D’Apice era stato dichiarato incandidabile per aver ringraziato il padre in aula consiliare in occasione dell’elezione nel ruolo di presidente del consiglio comunale. Per i giudici della quinta sezione civile della Corte d’Appello di Napoli è una decisione troppo punitiviva e lo spiegano nelle motivazioni: “La condotta (pacificamente) tenuta dal D’Apice, consistita nel ringraziamento pubblico al padre, può dirsi certamente inopportuna … ma di certo non può essere da sola considerata sufficiente per affermare che con tale ringraziamento il D’Apice abbia consentito o agevolato ingerenze e pressioni delle organizzazioni criminali operanti nel territorio”.
L’ex assessore Fulvio Calì era stato dichiarato incandidabile per le irregolarità nel settore urbanistica. Ma per i giudici “la circostanza che il generale stato di abbandono del settore urbanistico non fosse imputabile al singolo assessore (e non potesse essere sufficiente a chiedere la pronuncia di incandidabilità nei confronti del Calì) la si desume anche dalla relazione prefettizia e dalla conseguente proposta di incandidabilità avanzata dal Ministero, nelle quali al Calì si contesta una circostanza più specifica, ossia l’aver avuto rapporti personali con un imprenditore edile vicino ad un’organizzazione criminale stabiese”, perché intercettati nell’ambito di un procedimento penale che non ha mai avuto riscontro in avvisi di garanzia o comunque misure di custodia cautelare. Secondo i giudici infatti “agli atti di questo processo non sono presenti le intercettazioni telefoniche tra i due, motivo per il quale non può essere eseguita alcuna valutazione in ordine alla rilevanza ed al contenuto delle stesse ai fini della dichiarazione di incandidabilità. Va, infine, considerato che non vi è alcuna prova concreta dell’asserita vicinanza” dell’imprenditore “con organizzazioni criminali, non essendo stati depositati documenti che dimostrino la presenza a suo carico di precedenti penali, di misure cautelari o procedimenti penali in corso, nè di qualsivoglia altra prova che indichi l’esistenza di rapporti con soggetti legati a clan camorristici” si legge nella sentenza.
Un altro ricorso accolto è quello di Annamaria De Simone, che in realtà attraverso i legali Ylenia Zaira Alfano e Carmine Iovino aveva presentato il ricorso principale a cui si sono accodati anche D’Apice e Calì. Ebbene, De Simone nonostante in via libera dei giudici di Torre Annunziata alla candidatura, ha fatto appello per vedersi riconosciute le spese legali, compensate invece dai giudici di primo grado. In questo caso si è vista riconoscere un risarcimento di circa 8mila euro, cifra che è stata poi riconosciuta anche a D’Apice e Calì sempre per le spese legali.