A Napoli si rispetti il lavoro nel sociale è l’appello degli operatori che ieri hanno lanciato un appello alle donne e uomini di cultura. In piazza Trieste e Trento sono scesi le operatrici e gli operatori socio sanitari del gruppo Gesco, fermi in tre punti diversi vicino al Teatro di San Carlo, da dove hanno lanciato un appello a tutto il mondo della cultura napoletano affinché si mobiliti con loro per chiedere il rispetto del lavoro sociale a Napoli.
Gli operatori hanno organizzato anche un girotondo di protesta, dopo aver invano tentato di entrare pacificamente nel foyer del Massimo napoletano. La vicenda, lo ricordiamo, riguarda la rescissione anticipata del contratto tra la Asl Napoli 1 Centro e un raggruppamento di cooperative sociali con capofila Gesco, per l’affidamento dei servizi psicosociali negli ospedali, nei centri diurni, nelle strutture residenziali, dove si assistono anziani, disabili, persone con problemi di dipendenze, malati di Alzheimer, sofferenti psichici. Questo ha comportato il licenziamento di circa 300 operatori, dopo trent’anni di lavoro sociale.
Le Parole dei lavoratori del sociale
“Quando l’assistenza sociale in Italia era ferma all’Ottocento e alla legge Crispi, gli operatori di Gesco c’erano. Erano al Rione Traiano accanto ai ragazzi che si perdevano nella droga, erano nelle mense proletarie, erano nei manicomi per aiutare i sofferenti psichici a riacquistare la dimensione della libertà e della socialità, dopo la legge Basaglia. C’erano quando in Italia fu creato il sistema di welfare misto e alle cooperative sociali fu chiesto di occuparsi delle persone più fragili, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, delle persone malate e degli anziani soli. C’erano durante il Covid, negli ospedali. Non si sono mai sottratti, mai” scrivono nell’appello. “Per questo chiediamo a tutte le donne e gli uomini di cultura di Napoli di intervenire in ogni modo possibile, affinché questa vertenza possa avviarsi ad una positiva risoluzione, e la città di Napoli, già troppo ferita da fame di lavoro e di servizi, non debba subire un’altra pesante ed ingiusta sventura. Una società priva della capacità di prendersi cura delle persone fragili è una società senza cultura. È una battaglia culturale, è una battaglia di civiltà”.